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Nucleare ed emozioni

Niente lacrime, niente piagnistei. Le fotografie dei giapponesi storditi in mezzo a edifici in rovina dopo il terremoto di magnitudo 8,9 dell‘11 marzo ricordano più l’urlo di Munch che lo sguardo del samurai. Stereotipi? Un giornalista francese ha deciso di andare oltre: come hanno fatto i giapponesi a contenere così tanto le loro emozioni di fronte ad una simile tragedia, mentre gli europei riescono difficilmente a contenere un sospiro quando gli viene servito un caffè troppo freddo?

La catastrofe giapponese lascia gli auropei in balia a un turbine di sentimenti contraddittori. Sgomento, compassione, ammirazione ma anche perplessità e incomprensione. Ci piacerebbe poterci identificare con questo popolo in lutto, condividere il dolore, ma le immagini che ci arrivano non sempre ci permettono di farlo. Lo dimostrano anche le donazioni, che in Francia non decollano, mentre negli Stati Uniti hanno superato i 20 milioni di dollari. 

Gli europei avrebbero perso la testa

Difficile comprendere queste persone che camminano attorno alle rovine delle loro case, raccontando che hanno perso un fratello, una madre o un figlio senza che scorgere sul loro volto la minima traccia di emozione. Difficile interpretare la rassegnazione di questi abitanti della regione di Fukushima che lasciano una terra che non rivedranno mai più. Difficile anche spiegare perché un popolo che ha conosciuto l’orrore atomico durante la Seconda Guerra Mondiale rimanga così calmo di fronte alla minaccia nucleare. Da qui, noi sembriamo tanto preoccupati quanto lo sono loro… Non si scorge rabbia per la mancanza di informazioni. Niente panico, niente saccheggi, nessuno che fugge verso il Sud o all’estero. Nelle testimonianze riportate dai media, i soli giapponesi che sembrano veramente sconvolti sono coloro che hanno amici all’estero o che possono leggere la stampa internazionale: si trovano divisi tra diverse culture che reagiscono in modi opposti di fronte a eventi simili.

Si salvi chi può, io per primo

In caso di crisi noi europei tendiamo facilmente a cedere a sentimenti estremi. Panico e rabbia contro l’autorità sono reazioni che ci vengono piuttosto spontanee. Grecia, Portogallo, Spagna e persino gli imperturbabili inglesi di recente sono scesi in piazza per manifestare contro i rispettivi governi. 

Il Canard Enchaîné, settimanale satirico francese, racconta nella sua edizione del 23 marzo una storia interessante. Pochi giorni dopo la prima esplosione nella centrale di Fukushima, circa un quarto dei membri dell’Ambasciata di Francia a Tokyo hanno semplicemente abbandonato la nave! Il capo del servizio segreto, il vice capo degli affari nucleari, sono in molti ad aver fatto le valigie per il Sud o per l’estero, prima di ravvedersi alcuni giorni dopo.

Tuttavia, questi atteggiamenti opposti non riflettono necessariamente una differenza fondamentale nella comprensione della catastrofe. “Il contenimento emotivo dei giapponesi è un elemento reale e percepibile che si spiega con l’educazione”, afferma Bernard Bernier, professore al dipartimento di Antropologia presso l’Università di Montreal e ricercatore affiliato al Centro per gli Studi dell’Asia Orientale. “Si insegna ai giovani giapponesi il controllo delle proprie emozioni, prima a casa e poi a scuola, dove la disciplina è molto severa. Ma questo non significa che siano insensibili. E’ possibile esprimere le proprie emozioni, la propria tristezza, la rabbia, ma solamente in privato, a casa”.

Rabbia contenuta, ma onnipresente

I giapponesi sono arrabbiati. Con la Tepco, la società responsabile del funzionamento della centrale di Fukushima, giudicata colpevole di arroganza ed opacità, ma anche contro il governo giapponese, la cui gestione complessiva della crisi è al centro del mirino da parte della critica. Una rabbia temperata dalla volontà collettiva di tenere la testa alta, ma che è ancora evidentemente percepibile leggendo blog e stampa giapponese. E questa insoddisfazione dei giapponesi verso i loro leader potrebbe anche emergere durante le prossime elezioni legislative nel 2013.

Bernard Bernier fa cadere un altro mito, quello del carattere “naturale” del temperamento giapponese: “Il controllo delle emozioni in Giappone non è sempre stato così forte. Sono le élite che hanno preso il potere dal 1848 che hanno imposto progressivamente a tutta la società giapponese l’etica dell’orgoglio e della moderazione, la dottrina dei samurai, che si è sviluppata gradatamente nel corso del secolo XIX e XX, attraverso il sistema educativo. Circa quarant’anni fa, c’era più libertà di parola, specialmente in alcune zone rurali”. Per contro, queste reazioni che richiamano la nostra attenzione e questo desiderio di tenere alta la testa sono lo specchio di un reale nazionalismo. “Il ‘noi’ di fronte agli ‘altri’ è l’origine della definizione dell’identità giapponese, spiega il ricercatore canadese. Una identità molto restrittiva, definita dal sangue e aliena all’immigrazione”.

Di fronte alla tragedia vissuta dal Giappone, l’Europa reagisce come sa fare, cioè a fior di pelle. Poiché esterniamo volentieri le nostre emozioni, tendiamo a percepire i giapponesi coraggiosi, come effettivamente sono, ma anche un po’ indifferenti e fatalisti. Una visione che accenna garbatamente Bernard Bernier: “I giapponesi non reprimono le loro emozioni. Le contengono…

Dott.ssa Matera Simona

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