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SI CAMBIA ROTTA, LA RICERCA SULL’AIDS CHIEDE NUOVE IDEE

Perplessità crescenti sui vaccini e i markers surrogati. Si darà più spazio ad altri filoni di indagine.

Il primo segnale di cambiamento è stata l’elezione di William Paul a capo dell’office of AIDS research statunitense: Paul è stato scelto anche tenendo conto del suo curriculum. Si tratta infatti di un immunologo che non ha mai lavorato nel campo della ricerca sull’AIDS: si è quindi voluto dare potere decisionale ad un tecnico non coinvolto nel gigantesco giro d’affari che ruota attorno alla sindrome.
Su un punto tutti concordavano: era necessario trovare un giudice al di fuori della mischia per decidere, in un momento di grande confusione, quali progetti finanziare, quali abbandonare… E, in effetti, il cambio dell’allenatore sta producendo i primi effetti sul gioco della squadra: il governo statunitense dirotterà il 20% dei finanziamenti destinati per il per il prossimo anno alla ricerca clinica sui vaccini e i farmaci contro l’AIDS, lo stesso Paul. Il cambiamento di rotta non giunge quindi del tutto inatteso. Fa seguito tra l’altro alla recente decisione del National institute of allergy and infectious disease (NIAID) di non finanziare alcun trial di vaccini anti-HIV in persone non ancora infette. Proteste per i progetti interrotti. Restano quindi a bocca asciutta le industrie biotecnologiche (Gentech e Biocine) che avevano messo a punto i vaccini costituiti dalla proteina virale gp 120: anche in Giappone Dani Bolognesi, designato dal governo americano per mettere alla prova i prodotti, ha fornito un quadro della situazione sconfortante. Le aziende produttrici del vaccino promettono battaglia e la Gentech medita di portare il caso davanti al congresso degli Stati Uniti. Soddisfazione invece da parte delle associazioni di volontari e di malati: l’AIDS coalition to unleash power (ACT UP), agguerrita formazione di attivisti, ricorda che i vaccini oltre ad essere inutili potrebbero addirittura produrre anticorpi favorenti l’infezione. I piani di biocotaggio dei trail erano di fatto già pronti. “Già l’anno scorso durante il meeting organizzato da Robert Gallo – ci spiega il professor Massimo Galli, associato di malattie infettive presso l’ospedale Sacco di Milano – era emersa una forte corrente di pensiero favorevole ad ampliare gli obiettivi della ricerca. E infatti in Giappone la questione dei vaccini è stata l’elemento caratterizzante del congresso.” La discussione sui vaccini si lega ai primi tentativi di immunosoppressione con steroidi e ciclosporina nei malati di AIDS: ricercatori dell’università di Parigi rivelano che 27 pazienti trattati con ciclosporina non hanno mostrato significative riduzioni dei CD4 nel corso di 11 mesi di osservazione. Forse contro l’AIDS potrà rivelarsi più utile cercare di sopprimere la risposta immunitaria che evocarla attraverso la vaccinazione. L’ipotesi si fa strada ma Antony Fauci, del Niaid, pur applaudendo al risultato dei francesi, richiama cautela: “quando si parla di immunosoppressione - avverte - il confine tra buono e cattivo è sottile.” “È proseguita inoltre la discussione sui long-term survivor - ci spiega Galli, impegnato proprio in questo settore della ricerca - stiamo cercando la sopravvivenza a lungo termine è determinata da un particolare ceppo virale, meno cattivo, oppure da particolari caratteristiche immunitarie individuali. Ormai è certo che esiste una popolazione di pazienti che sta effettivamente meglio: persone che rimangono asintomatiche per 7-10 anni e che, mantengono un determinato profilo immunitario. Purtroppo, però, è altrettanto certo che queste caratteristiche protettive non sono stabili ma tendono ad essere perse nel tempo. “Tra le comunicazioni più interessanti in quest’ambito quella di Jay Levy della Uc di San Francisco: il ricercatore comunica di essere prossimo all’isolamento di una proteina sui CD8 dei long - term survivor, denominata CD8 antiviral factor, che potrebbe giocare un ruolo importante nel controllo dell’infezione. Ma il condizionale è d’obbligo. Prendiamo atto comunque del fatto che questi filoni di ricerca, fino a poco tempo fa secondario, sono ormai al centro dell’attenzione degli specialisti. La ricerca, però, è complicata dalla crescente consapevolezza che i classici marker surrogati di progressione dell’infezione ed efficacia dei farmaci (CD4 e carica virale) non offrono sufficienti garanzie di affidabilità. “La riduzione dei CD4 è un segno importante di progressione - commenta Fauci - ma permangono seri interrogativi sul significato da attribuire all’aumento della conta: non è detto che sia un marker di efficacia dei farmaci”. Il numero dei CD4 e la carica virale, inoltre, variano nei long-term survivor: un’osservazione che accresce le perplessità. Marcatori di scarsa affidabilità. Se poi si tiene conto che questi ed altri marker, come l’antigene p24, correlano scarsamente tra loro e con le sofisticate misurazioni PCR si comprende l’imbarazzo degli addetti ai lavori. “Valutare i farmaci basandosi su questi parametri - ha commentato un ricercatore - è come cercare di cavalcare una scimmia”. Tra le conseguenze di cambio di rotta delle autorità sanitarie americane citiamo, inoltre, il previsto rafforzamento delle ricerche sui rapporti tra comportamenti sessuali e rischi di contrarre l’infezione: a testimoniare l’avvenuto cambiamento la pubblicazione, come l’articolo d’apertura su New England Journal of Medicine (1994, 331, 341-391), di uno studio longitudinale sull’efficacia protettiva del condom tra partner eterosessuali. È una prova importante in favore dell’utilità del profilattico sottolineata da un opportuno editoriale. Un gruppo di coppie costituite da un partner HIV-positivo - e l’altro sieronegativo è stato seguito per 20 mesi: in tutte le coppie (124) che hanno fatto uso del profilattico, per un totale di 15.000 rapporti sessuali, non si è verificata alcuna sieroconversione. Tra le 121 coppie che hanno sempre usato precauzioni il tasso di sieroconversione è risultato pari a 4,8 ogni 100 persone/anno.
Il primo segnale di cambiamento è stata l’elezione di William Paul a capo dell’office of AIDS research statunitense: Paul è stato scelto anche tenendo conto del suo curriculum. Si tratta infatti di un immunologo che non ha mai lavorato nel campo della ricerca sull’AIDS: si è quindi voluto dare potere decisionale ad un tecnico non coinvolto nel gigantesco giro d’affari che ruota attorno alla sindrome.
Su un punto tutti concordavano: era necessario trovare un giudice al di fuori della mischia per decidere, in un momento di grande confusione, quali progetti finanziare, quali abbandonare… E, in effetti, il cambio dell’allenatore sta producendo i primi effetti sul gioco della squadra: il governo statunitense dirotterà il 20% dei finanziamenti destinati per il per il prossimo anno alla ricerca clinica sui vaccini e i farmaci contro l’AIDS, lo stesso Paul. Il cambiamento di rotta non giunge quindi del tutto inatteso. Fa seguito tra l’altro alla recente decisione del National institute of allergy and infectious disease (NIAID) di non finanziare alcun trial di vaccini anti-HIV in persone non ancora infette. Proteste per i progetti interrotti. Restano quindi a bocca asciutta le industrie biotecnologiche (Gentech e Biocine) che avevano messo a punto i vaccini costituiti dalla proteina virale gp 120: anche in Giappone Dani Bolognesi, designato dal governo americano per mettere alla prova i prodotti, ha fornito un quadro della situazione sconfortante. Le aziende produttrici del vaccino promettono battaglia e la Gentech medita di portare il caso davanti al congresso degli Stati Uniti. Soddisfazione invece da parte delle associazioni di volontari e di malati: l’AIDS coalition to unleash power (ACT UP), agguerrita formazione di attivisti, ricorda che i vaccini oltre ad essere inutili potrebbero addirittura produrre anticorpi favorenti l’infezione. I piani di biocotaggio dei trail erano di fatto già pronti. “Già l’anno scorso durante il meeting organizzato da Robert Gallo – ci spiega il professor Massimo Galli, associato di malattie infettive presso l’ospedale Sacco di Milano – era emersa una forte corrente di pensiero favorevole ad ampliare gli obiettivi della ricerca. E infatti in Giappone la questione dei vaccini è stata l’elemento caratterizzante del congresso.” La discussione sui vaccini si lega ai primi tentativi di immunosoppressione con steroidi e ciclosporina nei malati di AIDS: ricercatori dell’università di Parigi rivelano che 27 pazienti trattati con ciclosporina non hanno mostrato significative riduzioni dei CD4 nel corso di 11 mesi di osservazione. Forse contro l’AIDS potrà rivelarsi più utile cercare di sopprimere la risposta immunitaria che evocarla attraverso la vaccinazione. L’ipotesi si fa strada ma Antony Fauci, del Niaid, pur applaudendo al risultato dei francesi, richiama cautela: “quando si parla di immunosoppressione - avverte - il confine tra buono e cattivo è sottile.” “È proseguita inoltre la discussione sui long-term survivor - ci spiega Galli, impegnato proprio in questo settore della ricerca - stiamo cercando la sopravvivenza a lungo termine è determinata da un particolare ceppo virale, meno cattivo, oppure da particolari caratteristiche immunitarie individuali. Ormai è certo che esiste una popolazione di pazienti che sta effettivamente meglio: persone che rimangono asintomatiche per 7-10 anni e che, mantengono un determinato profilo immunitario. Purtroppo, però, è altrettanto certo che queste caratteristiche protettive non sono stabili ma tendono ad essere perse nel tempo. “Tra le comunicazioni più interessanti in quest’ambito quella di Jay Levy della Uc di San Francisco: il ricercatore comunica di essere prossimo all’isolamento di una proteina sui CD8 dei long - term survivor, denominata CD8 antiviral factor, che potrebbe giocare un ruolo importante nel controllo dell’infezione. Ma il condizionale è d’obbligo. Prendiamo atto comunque del fatto che questi filoni di ricerca, fino a poco tempo fa secondario, sono ormai al centro dell’attenzione degli specialisti. La ricerca, però, è complicata dalla crescente consapevolezza che i classici marker surrogati di progressione dell’infezione ed efficacia dei farmaci (CD4 e carica virale) non offrono sufficienti garanzie di affidabilità. “La riduzione dei CD4 è un segno importante di progressione - commenta Fauci - ma permangono seri interrogativi sul significato da attribuire all’aumento della conta: non è detto che sia un marker di efficacia dei farmaci”. Il numero dei CD4 e la carica virale, inoltre, variano nei long-term survivor: un’osservazione che accresce le perplessità. Marcatori di scarsa affidabilità. Se poi si tiene conto che questi ed altri marker, come l’antigene p24, correlano scarsamente tra loro e con le sofisticate misurazioni PCR si comprende l’imbarazzo degli addetti ai lavori. “Valutare i farmaci basandosi su questi parametri - ha commentato un ricercatore - è come cercare di cavalcare una scimmia”. Tra le conseguenze di cambio di rotta delle autorità sanitarie americane citiamo, inoltre, il previsto rafforzamento delle ricerche sui rapporti tra comportamenti sessuali e rischi di contrarre l’infezione: a testimoniare l’avvenuto cambiamento la pubblicazione, come l’articolo d’apertura su New England Journal of Medicine (1994, 331, 341-391), di uno studio longitudinale sull’efficacia protettiva del condom tra partner eterosessuali. È una prova importante in favore dell’utilità del profilattico sottolineata da un opportuno editoriale. Un gruppo di coppie costituite da un partner HIV-positivo - e l’altro sieronegativo è stato seguito per 20 mesi: in tutte le coppie (124) che hanno fatto uso del profilattico, per un totale di 15.000 rapporti sessuali, non si è verificata alcuna sieroconversione. Tra le 121 coppie che hanno sempre usato precauzioni il tasso di sieroconversione è risultato pari a 4,8 ogni 100 persone/anno.


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