Il termine "urologia" ha compiuto 150 anni, essendo stato coniato nel 1840 da Leroy d'Etiolles, uno dei promotori della litotrissìa a Parigi. Ma la storia dell'urologia incomincia molto prima, le sue origini si perdono nella notte dei tempi, risalgono a quando, sul piano conoscitivo, l'uomo incomincia a interessarsi della fisiologia dell'orina; a quando, sul piano operativo, l'uomo incomincia a occuparsi della sua patologia, in particolare dei disturbi relativi alla sua eliminazione: soprattutto le infiammazioni del canale uretrale da malattie veneree e le ostruzioni della via urinaria da calcoli della vescica. Sono due piani diversi, uno conoscitivo, teorico, e uno operativo, pratico, senza reciproche connessioni: la teoria dell'urina è legata a una fisiologia dotta, di tipo umorale-galenico; la pratica anti-infiammatoria e antì-litiasica (litotomica, litotriptica, frangipietra) è legata a una patologia empirica, ricavata dall'esperienza e non dalla dottrina. Ciò da ragione del fatto che all'origine l'urologia è una teoria scissa dalla prassi, una scienza separata dalla tecnica, coltivata sul versante teorico da degli intellettuali dotti, i doctores, i medici fisici-filosofi formati nelle università leggendo i sacri testi de urinis, e coltivata sul versante pratico da manovali indocti, i chirurghi, lavoratori della mano (come dice il nome), illetterati e formati per tradizione familiare nell'ambito di mestieri stanziali, con le proprie botteghe, o girovaghi, eon i propri carri itineranti.
Consideriamo dunque separatamente queste due urologie originarie.
Urologia come scienza dell'urina. Il nome urina vien fatto derivare dal latino o dal greco: urina come "una in renibus", dal punto di vista anatomo-fisioiogico, o come luogo deH"'urere", dal punto di vista sintomatologieo-clinico, come luogo del bruciore, quando il bruciore urinario impone l'urina alla sensazione del paziente e all'attenzione del medico. Oppure urina come "orìsma", specchio del corpo interno, o come cosa che scorre, da "rein", scorrere, come lo scorrere dei fiumi, i tanti "rios" della natura.
Ebbene, le reguìae urinarum dettate da Mauro e da Ursone, maestri in quella Salerno "città di Ippocrate" che è sede della celeberrima Schols salernitana (centro cosmopolita dì medicina laica nel Medioevo), sono canoni ben precisi che reggono la minuziosa metodica della uroscopia, primo esame di laboratorio, sul quale si fonda quella scienza dello sguardo (dell'osservazione, dell'ispezione) che guarda non più soltanto al malato, ma anche al suo escreto liquido, nella congettura od ipotesi che il liquido estemo rifletta in qualche modo, provenendo dall'interno, il liquido interno, quel liquido interno (aqua vivimus) che è sede della vita e della salute, dovuta quest'ultima - come Galeno insegna - alla buona mescolanza o miscela (eucrasìa) dei quattro umori (sangue, flegma, bile, atrabile).
Si pensa, si presume, che l'urina che si smescola per gravita nella "matula" - vaso di vetro a forma di vescica e a collo largo -corrisponda nelle sue partì o "sezioni" alle sezioni o "parti" del corpo umano. Così si argomenta che, dal basso in alto, il fondo corrisponda agli organi inferiori (tra cui i reni), la sostanza o corpo corrisponda ai membra nutritionis (tra cui il fegato) contenuti nell'addome, la superficie corrisponda ai membra spiritualia (cuore e polmoni) contenuti nel torace, la corona o circolo corrisponda ai membra animata (cervello) contenuti nel capo. Ipotesi e percezioni: dal punto di vista organolettico, non si trascura di saggiare l'urina col tatto, valutando tra i polpastrelli la consistenza del suo sedimento, coll'olfatto, fiutandone l'odore attraverso il collo della matula, col gusto, assaggiandone una goccia in punta di lingua, e soprattutto con la vista, classificandola in aibicans, crocea, rubiconda, cruenta, aeruginosa, nigricans e via dicendo.
Nella sua visita del malato, il medico ascolta, tocca, guarda. Ascolta la storia del malato, ne tocca il polso, ne guarda la fades, la lingua, il decubito, il sudore, lo sputo, l'urina. Per influenza del pensiero medico arabo, elaborato soprattutto da Ibn Sìna, più noto come Avicenna (l'autore del "Canone", che ha insegnato a Isfahan, nel cuore della mitica Persia), l'osservazione uroscopica trascende la semeiotica finalizzata alla diagnosi e diventa strumento di prognosi: l'esame dell'urina passa da uroscopia a uromanzia.
Il medico è uroscopista e uromante. L'accostamento al malato attraverso l'esame della sua urina è fisico e storico: fisico, tramite i sensi, e storico, tramite la proiezione del presente nel passato, alla ricerca delle cause, e del presente nel futuro, alla ricerca dei destini. Nell'urina raccolta in quel momento cruciale dell'esistenza che è la malattia, il medico ricerca e intravvede origini e destini, predeterminazioni e finalità; forse non diversamente dall'urologo d'oggi che davanti a un'ematuria con colica in uomo giovane o a un'ematuria totale senza dolore in uomo attempato intravede possibili cause diverse e ipotizza diversi pronostici.
Tra gli araldi transalpini della Scuola medica salernitana è il francese Pierre Gilles de Corbeil (1140-1224), allievo di Mauro salernitano, il quale sul sagrato di Mitre-Dame, a Parigi, tiene lezione de urinis etpulsibus, argomentando non in prosa, ma in endecasillabi. Nei suoi carmina de urinarm judiciis afferma: "Ciò che dev'essere affidato alla memoria si adatta meglio alla concisione dei versi che alla molle prolissità della prosa". Da allora, nelle università medioevali, esiste una cattedra de pulsibus et urinis dove il cattedratico, in prosa o in versi a seconda della sua propensione, insegna la semeiotica sfigmometrica e la semeiotica uroscopica.
L'urina, si insegna, si distingue in interna ed esterna. La prima è una impurità sistemica mescolata ai quattro umori, una superfluità sottile che viene attirata dalle vene "emulgenti" o "mungitrici" nei reni, dove viene separata come il siero che si separa dal latte e filtrata, indi immessa nella "grande via dello scarico" che la porta all'esterno come urina esterna. Ancora nel 1696, quasi alle soglie dell'età razionalista dei lumi, uno fra gli ultimi di questa stirpe di urologi dotti, il parigino Davache de la Rivière, da alle stampe uno "Specchio delle urine" dove è detto tra l'altro: "Attraverso le urine si vedono e riconoscono gli umori, i temperamenti, i segni e le cause delle malattie di ciascuno". Il libro è presentato come "opera nuova, molto utile e necessaria a ogni tipo di persona, anche ai medici". Mentre "il polso", precisa Rivière, "è fatto per constatare l'esistenza della malattia, l'urina da sola ha il potere di farne discernere l'esatta natura".
Lasciamo, alle soglie del Settecento, questa scienza urologica e consideriamo, nello stesso lungo perìodo, lo svolgimento parallelo e separato della tecnica urologica finalizzata al trattamento delle infiammazioni vescico-uretrali e della "malattia della pietra", la calcolosi vescicale.
L'operazione della pietra viene eseguita, nel Medioevo e nel Rinascimento, ancora col metodo della chinirgia ippocratica e celsiana: introdotto un dito nell'ano, si spinge il calcolo al collo della vescica, mentre l'altra mano preme il ventre dall'alto, indi si incide il perineo presso l'ano con incisione semilunare e poi il collo vescicale con incisione trasversale, infine viene estratto il calcolo, con le dita o con apposito uncino. Si tratta di una operazione che, per l'entità dell'intervento, il suo carattere cruento, la frequenza delle complicanze infiammatorie, la facilità delle fistole residue, viene considerata un'operazione a rischio, tale da essere temuta dai pazienti e sgradita a quei chirurghi maggiori, aulici, che a una interventistica aleatoria, tale da mettere a repentaglio il loro buon nome, preferiscono l'astensionismo, o una chinirgia "medicamentaria" e non "ferramentaria", esercitata con lavaggi, serviziali, pomate, e non ositi ferro et igni; o preferiscono delegare l'atto chirurgico a chirurghi minori, empirici, meno ricchi di nozioni ma più esperti dell'arte, più specializzati nella particolare manualità operatoria di "trar la pietra di vescica" mediante "taglio delle parti di sotto".
Chi sono questi empirici che operano la pietra? Sono quegli stessi castra-tori, quegli stessi sana-porci che, nel mondo rurale sono avvezzi a castrare i tori e farne buoi destinati al lavoro nei eampi o a sanare porci e farne maiali destinati all'ingrasso. La loro dimestichezza con le parti pudende fa di essi i più esperti e affidabili autori della castrazione di molti servitori di nobildonne e cortigiane, nelle corti rinascimentali, o della castrazione di molti bambini destinati al bel canto, candidati con le loro "voci candide" a ingentilire i cori di cappella e di corte fino a Settecento inoltrato.
In Italia molti o quasi tutti questi ex-sanaporci sono norcini o preciani, cioè contadini inurbati esperti dell'arte, originari della alta vai di Norcia in quel di Borgo alle Preti.
Ancora sul finire del Seicento, Bernardino Genga, chirurgo maggiore nell'Ospedale romano di S. Spirito in Sassia, nel suo commentario agli Aforismi di Ippocrite consiglia per il mal della pietra di rivolgersi ai norcini "perché quelli di tal paese è, per così dire, dall'infanzia che si esercitano a curare li morbi di tali parti urinarie. Dalli quali si sentono farsi operazioni tanto gravi che non possono né proporsi, né tanto felicemente farsi da altri uomini grandi in tutta la medicina".
La reputazione dei norcini è grande, iniziata nel Duecento, trasmessa inalterata fino a tutto il Settecento. Norcini e preciani appartengono a 26 famiglie: Accoramboni, Alessi, Amici. Bachettoni, Benevoli, Bitozzi, Bolani, Bonaiuti, Brunetti, Bonaggiunti, Bonini, Carocci, Catani, Caramboni, Isoldi, Lapi. Marini, Mattioli, Mensurati, Pedoni, Petrucci, Politi, Salimbeni, Scacchi, Serantoni.
Anche i grandi centri universitari, con tutta la loro dottrina e i loro doctores, chiamano questi manuaies indocti a esercitare il loro mestiere a beneficio dei pazienti, dei "pietranti", di quanti soffrono per ogni causa ostacolante la fisiologica eiezione degli escreti liquidi. Bologna, la docta Bononia, nomina il 27 gennaio 1662 Francesco Bitossi dì Norcia norcino municipale, cui succedono nell'ordine Giacomo Marini, Francesco Marini, Giovanni Carlo Bacchettoni, Giuseppe Bachettoni.
A Milano, all'epoca delle pesti di San Carlo e manzoniana, operano la pietra, secondo quanto testimoniano i protomedici Ludovico Settala e Alessandro Tadino, i norcini Aecoramboni padre e figlio, Giovanni e Giovann'Antonio. L'n secolo dopo, a metà Settecento, proprio a Milano si registra la svolta: Bernardino Moscati, chirurgo maggiore nell'Ospedale Maggiore, sottrae alla norcineria il monopolio del taglio della pietra. Nel 1750-51 Moscati è a Parigi a perfezionarsi nella tecnica della litotomia presso il Verdier, che gli rilascia il seguente certificato: "Certifico che il Signor Moscati, dottore in chinirgia [non in medicina n.d.a.| e chirurgo maggiore dell'Ospedale di Milano, il quale mi ha invitato ad assistere all'operazione che doveva fare alla presenza di numerosi colleghi di Parigi, è stato da me visto operare, con mia grande soddisfazione, e dar prova di tutta l'abilità, la destrezza e la prudenza possibili, conservando tutto il sangue freddo che un'operazione di tal fatta esige, e benché la pietra che è stata estratta fosse grande quando un fungo, cosa che poteva far temere per le difficoltà della cura, cionondimeno il malato più che sessantenne, e giunto all'ottavo giorno dell'operazione realizzarsi, in campo urologico l'incontro tra la scienza moderna, sperimentale, nata dalla rivoluzione metodologica galileiana, e l'esperienza antica, empirico-pratica, evoluta dalla noreineria tradizionale alla chinirgia più aggiornata.
È l'incontro fecondo di risultati tra la teoria e la prassi. Attraverso il modello teorico cartesiano dell'honime machine, la nuova iatromeccanica, la nuova scienza teorico-sperimentale, si avvale del microscopio per vedere in piccolo così come col "cannone galileiano - col cannocchiale, col telescopio - è possibile vedere in grande. Se il Sidereus nuneius di Galileo annuncia e vede nuovi mondi celesti, i medici microscopisti vedono e annunciano nuovi meccanismi operanti all'interno di quella grande macchina che è il corpo umano. Tra l'altre, scoprono le micromacchine della secrezione e della escrezione urinarie: i glomeruli di Marcello Malpighi, i tubuli di Lorenzo Bellini. A Padova, Giovanni Battista Morgagni studia le correlazioni tra i segni clinici osservati in vita e le lesioni anatomiche rilevate post mortem, descrive le alterazioni dei reni, della vescica, della prostata. A Napoli, Domenico Cotugno scrive un trattateli De morbis renum et vescicae urinariae che può essere considerato un capostipite della trattatistica urologica. Il suo allievo Michele Troja tiene dal 1779 all'Ospedale degli Incurabili un insegnamento di malattie urinarie che può essere considerato una protocattedra di didattica urologica. Detta, tra l'altro, un nuovo regolamento della litotomia dov'è scritto: "Se l'infermo muore in seguito alla perineocistotomia, una commissione di chirurghi deve con l'autopsia ricercare le cause; e se la morte è dovuta a imperizia dell'operatore, questi è sospeso dalla paga e dall'impegno". Accanto alla nuova teoria dell'urina, alla nuova prassi per la cura delle malattie chirurgiche dell'apparato urinano, si delinea una nuova normativa, con nuove regole di comportamento, una nuova deontologia o, come si dice nell'Ottocento, un nuovo "galateo" del medico-chirurgo, dell'urologo.
Michele Troja è anche colui che nel 1798 pubblica un lavoro "Sulla costruzione dei cateteri flessibili". Nello stesso periodo il clinico chirurgo di Pisa Andrea Vacca Bei'linghieri ricupera modernizzandolo un vecchio metodo di operare la pietra e ne propone uno nuovo.
Il vecchio metodo ammodernato è il cosiddetto "alto apparecchio" adottato per la prima volta nel 1560 dal "chirurgo di veste lunga" Pietro Franco il Provenzale, discepolo di Ambroise Pare. Si tratta della cistotomia sovrapubica, che Franco stesso aveva definito "grande follìa* dissuadendo i colleghi dell'imitarlo: grande follia perché contraddiceva l'aforisma d'Ippocrate cui praesecta vescica laetale, che dichiarava letali le ferite della vescica, verosimilmente per via delle complicanze settiche a carico dell'urina. Vacca (centocinquant'aiuii dopo) tesse invece T'elogio della pazzìa" di Franco e dice che il metodo è raccomandabile perché si recidono pochi tessuti, con scarso spargimento di sangue, e perché si taglia una porzione di vescica che essendo elastica e dilatabile può lasciar passare anche grossi calcoli. Il metodo è ripreso e perfezionato di lì a poco dal clinico chirurgo di Pavia Antonio Scarpa, il quale - prima ancora che l'asepsi entri nella pratica chirurgica con Semmelweis e Lister - lava abbondantemente le ferite vescicali con alcool acidificato riducendo lo spauracchio delle infezioni.
Il nuow metodo è, in sostituzione del taglio retto-vescicale definito "operazione indegna dei progressi del secolo", il taglio lateralizzato o perineo-cistotomia laterale, anch'esso adottato e perfezionato da Scarpa per i calcoli di minori dimensioni, mentre per quelli più grossi propugna, come già detto, la cistotomia sovrapubica cui dedica una apposita "Memoria sul taglio ipogastrico per l'estrazione della pietra dalla vescica urinaria".
L'Ottocento è il secolo, per la chinirgia urologica italiana, che da Scarpa arriva a Edoardo Bassini e a Giorgio Nìcolich.
Giorgio Nicolich (1852-1925), triestino, può essere considerato il padre della moderna chinirgia urologica in Italia, terra di empirici frangipietra e di chirurghi cavatori dei calcoli di vescica. Più che dì una priorità in Italia, si tratta della riproduzione in Austria - Trieste era ancora città periferica dell'Impero asburgico - di un modello di specializzazione già consolidatosi a Vienna, dove la chinirgia nel tardo Ottocento aveva fatto passi da gigante, alla scuola di Theodor Billroth. Nìcolich nel 1897 inaugura nell'Ospedale civico di Trieste un reparto con dodici letti per casi chirurgici di malattie degli organi urogenitali maschili: un "reparto distaccato" dalla "divisione di malattie di chinirgia generale e dermosifilitiche", un reparto urologico.
L'urologia istituzionalizzata nell'ospedale, lo sarà dopo qualche decennio anche nell'Università.