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Le infezioni urinarie

Hanno solitamente una causa batterica.

Motivi d'interesse per le infezioni urinarie sono numerosi: l'elevata frequenza nella pratica clinica ed i rapporti con le pielonefriti croniche sono i più importanti. Per quanto concerne la frequenza, entro gli 11 anni, almeno il 3 % delle bambine e l'1 % dei ragazzi ha presentato un'infezione urinaria sintomatica. Ogni anno si verifica un episodio di disuria in circa il 20 % delle donne tra i 24 e i 64 anni: i due terzi hanno un'infezione urinaria. Nelle donne oltre i 65 anni e negli uomini oltre i 70, l'incidenza supera il 20 %.
Le infezioni urinarie riconoscono in genere una causa batterica.

La responsabilità virale è rara, ed è eccezionale quella micotica.
Tra i pazienti ambulatoriali con infezione urinaria in circa il 90 % si ritrovano : Escherichia Coli, Proteus mirabilis, Klebsiella pneumoniae, Enterococchi, Stafilococchi, ognuno in percentuali del 2-3 %. Nei soggetti ospedalizzati, invece, la frequenza dell'E. Coli è dimezzata, a favore particolarmente di Proteus, Pseudomonas, Stafilococchi. Serbatoio di questi germi viene comunemente considerato l'intestino. I fattori che condizionano il passaggio e la moltiplicazione nelle vie urinarie dei batteri sono molteplici La virulenza sembra essere associati ad alcune caratteristiche, tra cui gli antigeni dì membrana e quelli capsulari K, che sembrano inibire la fago citosi e la capacità battericida del complemento. Anche importante sembra essere la capacità della E. Coli di aderire alla superficie delle cellule uroepiteliali. Il fenomeno marcato in ceppi ottenuti da soggetti con cistite, è ridotto invece in cep pi ottenuti dalle feci di soggetti sani, sembra collegato alla presenza sulla superficie dei batteri di più portatori di una sostanza che lega a recettori mannoso simili posti sulla superficie delle cellule uroepiteliali. Dati analoghi sono stati ottenuti in ceppi di Proteus. Nella maggioranza dei casi, soprattutto di sesso femminile, l'introdu zione nell'albero urinarìo avviene per via ascendente. Nella donna è stata attribuita importanza alla ionizzazione del vestibolo vaginale dell'uretra distale. Entrano in gioco anche fattori anatomici di altro genere, quali: frequenza minore dei rapporti sessuali e dello svuotamento della vescica; caratteristiche delle urine; abitudini igieniche; capacità battericide della mucosa vescicale.

Le conseguenze dell'ìntroduzione di germi nelle vie urinarie sono variabili: da batteriurie isolate, a cistiti sintomatiche, a pielonefriti acute e croniche. In quest'ambito, le infezioni urinarie ricorrenti, le batteriurie isolate ed i rapporti con la pielonefrite cronica pongono i problemi di maggior interesse.
Parte delle infezioni ricorrenti hanno come fattore predisponente delle alterazioni anatomiche delle vie urinarie, talora correggibili chirurgicamente. In loro assenza, si dovranno ricercare altre condizioni favorenti, come la stipsi cronica, una colite, una scarsa introduzione di liquidi, minzioni rare, prolassi vescicali, vagìniti, ecc.
Anche una batteriuria isolata può essere spia di un'alterazione anatomo-funzionale delle vie urinarie: ad esempio di un riflusso cistopielico, di un idronefrosi, di una calcolosi.
Per quanto concerne la pielonefrite, si riteneva in passato che essa rendesse conto della maggior parte delle lesioni interstiziali renali, e che fosse una conseguenza non rara di infezioni urinarie acute e croniche. Successivamente è stato constatato che, nei soggetti adulti in buone condizioni generali e senza lesioni predisponenti dell'apparato urinario, molto spesso un'infezione urinaria, anche protratta per anni, non causa danni renali apprezzabili. Inoltre, molte nefropatie interstiziali hanno una patogenesi non batterica, eventualità già conosciuta in passato, ma sottovalutata. Le infezioni urinarie e la batteriurie sono oggi pertanto considerate come spesso non nefrolesive, soprattutto nei soggetti che già non presentino lesioni renali e delle vie urinarie.
Un danno renale evolutivo può invece facilmente instaurarsi nei casi di infezione molto attiva, specie se sovrapposta ad ostruzione grave, a calcolosi, o ad alcune nefropatie, come quella diabetica o da analgesici.
In contrasto con il significato relativamente benigno delle infezioni urinarie non complicate dell'adulto, è da sottolineare che tra il 20 % e il 30 % dei bambini studiati dopo una prima o una seconda infezione urinaria sintomatica presenta un reflusso vescicouretrale, e che nel 20-25 % di questi sono già evidenti cicatrici renali all'età di 5 anni. Per quanto, in questa popolazione infantile, i rapporti tra infezione, reflusso e danno renale non siano del tutto chiariti, esistono fondati elementi per considerare con molta attenzione tutte le batteriurie e le infezioni urinarie del bambino.
Nell'età fertile una particolare importanza va attribuita alle infezioni urinarie in corso di gravidanza. Circa l'8-10 % delle donne sviluppa in gravidanza una batteriuria significativa ed una elevata percentuale di esse (sino al 50 %) una infezione sintomatica o una pielonefrite cronica che può successivamente decorrere come primitiva.
La stessa infezione può avere un riflesso negativo sull'andamento della gravidanza, con ritardi di sviluppo placentare, basso peso neonatale, aumento di aborti spontanei e di mortalità neonatale. E' invece discussa una maggior frequenza di tossiemie gravidiche.
Nell'anziano le nefriti interstiziali croniche hanno spesso un'origine polifattoriale con vario concorso, oltre che dell'infezione, di cause vascolari, tossiche, dismetaboliche ed ostruttive. Il sovrapporsi di un fattore infettivo può in questi casi scompensare rapidamente un'insufficienza renale precedentemente ben tollerata, e magari misconosciuta; è d' altra parte possibile che siano i sintomi dell'infezione urinaria ad avviare l'iter diagnostico che porterà a scoprire una lesione parenchimale o delle vie urinarie da altra causa, sino allora inosservata.

Per quanto attiene la terapia, è fondamentale che il trattamento antibatterico sia sempre guidato dalI' antibiogramma, e che si dia la preferenza a farmaci non nefrotossici con le variazioni di posologia richieste da una eventuale insufficienza renale.
Se l'infezione è recidivante, e non è presente un'insufficienza renale, potrà essere preso in considerazione un tentativo di terapia "soppressiva". Questa prevede un trattamento di circa sei mesi (solo in caso di buona tolleranza) con trimethoprim-sulfa-metossazolo (mezza compressa alla sera), o con nìtrofurantoina (50-100 mg) alla sera. In alternativa può essere tentato l'impiego della mandelamina, eventualmente associata ad acido ascorbico (ad esempio 500 mg ciascuno, quattro volte al dì). L' insufficienza renale rende questi schemi inutili e potenzialmente pericolosi.
La persistenza dell'infezione, e le eventuali nuove positivizzazioni dopo ripetuti cicli di terapia pongono spesso problemi decisionali complessi. In queste situazioni si viene infatti facilmente ad evidenziare la presenza di germi scarsamente sensibili e a dover impiegare farmaci potenzialmente nefrolesivi, quali gli aminoglicosidi. Questa categoria di antibiotici dovrebbe essere riservata solo ai casi con chiari sintomi di attività della malattia, e mancata risposta ad altri medicamenti.
In caso di insufficienza renale occorre anche tenere presente che le tetracicline possono aggravare l'iperazotemia e l'acidosi e checloramfenicolo, eritromicina e nitrofurantoina non raggiungono livelli urinari adeguati.
Infine occorre sottolineare come il mancato controllo dell'infezione urinaria e renale, nonostante la terapia, è spesso in relazione alla mancata identificazione e correzione di eventuali fattori predisponenti.

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