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Il test del DNA per paternità

La prima fase del test di paternità consiste nell'estrazione del DNA dai campioni biologici prelevati per l'esame, quindi tramite un prelievo di sangue o addirittura prelievo di campione tramite sfregamento della mucosa orale.
Il tratto di DNA che contiene un'informazione genetica viene definito gene, e la sua localizzazione sui cromosomi viene definita locus. Forme alternative dello stesso gene vengono definite alleli. Un gene che mostra più alleli viene definito polimorfico. Per ogni locus, un individuo eredita un allele dalla madre e un allele dal padre; se gli alleli ereditati sono uguali, l'individuo è omozigote, se sono diversi, l'individuo è eterozigote. La derivazione del profilo genetico di un individuo implica la determinazione degli alleli presenti in determinati loci altamente polimorfici.
Sappiamo che il DNA è costituito da strutture filamentose, dette cromosomi distribuite in 23 coppie.
Quando un bambino viene concepito, inevitabilmente prenderà parte del patrimonio cromosomico del padre e parte dalla madre nella misura del 50% ciascuno. In effetti, i due gameti si ripristinano riformando le 23 coppie di cromosomi di cui è costituito il DNA.
I frammenti di DNA amplificati vengono per l'esame separati per dimensione; il risultato che si ottiene assomiglia a un codice a barre, in cui ogni allele è una barra e la differenza di dimensione fra alleli diversi è rappresentata da una distanza variabile fra le barre.
La probabilità di paternità dipende dalla frequenza dell'allele nella popolazione di riferimento. Attualmente, la determinazione del profilo genetico di un individuo si basa sull'analisi di un numero di loci polimorfici sufficiente per ottenere una probabilità di paternità superiore al 99,9999%.
Attraverso il test del DNA di paternità si può stabilire in modo scientifico, se un uomo è il padre biologico di un bambino. I test DNA di paternità sono più richiesti di quelli della maternità, in quanto, in genere, è più facile stabilire l’identità della madre.
I test di paternità del DNA sono ammissibili in tribunale, a condizione che siano rispettate alcune norme e procedure nella raccolta dei campioni.

L’introduzione del test di paternità ha reso obsoleti altre metodologie per stabilire l’esistenza di una relazioni biologica paterna, come, per esempio, l’esame del gruppo sanguino. Inoltre, la raccolta del campione di DNA per questo tipo di test di paternità è facile e indolore comparato ad altri metodi.
Il test può anche risultare non preciso a causa di mutazioni genetiche. Può salire il dubbio che se ne sia verificata almeno una, anche quando un solo marcatore non risulti compatibile, tuttavia i nuovi macchinari sono molto sofisticati ed utilizzano sequenziatori che cercano di minimizzare al minimo la presenza di errori.
Il riconoscimento e il disconoscimento di paternità sono regolati dall’articolo 235 del Codice civile. Una sentenza della Corte di cassazione (266 del 2006) ha stabilito che il risultato del test di paternità basato sul dna è da solo sufficiente per il riconoscimento o il disconoscimento di un figlio. Per prelevare campioni di cellule da un minorenne è necessario il consenso di entrambi i genitori (o del tutore legale). Nel caso di figlio maggiorenne è lui a decidere.
Se un padre fa il test all’insaputa della madre del bambino, non commette alcun reato, perché la potestà genitoriale si esercita separatamente. Ma il risultato non può essere usato in tribunale

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